Oggi il mondo dell’advertising online si basa in gran parte su quelli che vengono chiamati Cookie di terze parti. Ma il futuro potrebbe essere diverso.
Anche chi non si occupa degli aspetti tecnici del marketing probabilmente conosce, almeno nella sua applicazione, il funzionamento dei cookie di terze parti. In pratica sono quegli strumenti per cui, una volta effettuato un acquisto o una ricerca, buona parte della nostra pubblicità online verterà su quel prodotto. Anche se si tratta di dati teoricamente anonimi, il livello di profilazione raggiunto da questi strumenti di advertising è tale da creare più di una preoccupazione sulla privacy.
Preoccupazioni evidentemente giustificate se anche Google, che attraverso la sua rete di annunci raccoglie una parte più che significativa dei ricavi derivanti da annunci online, ha deciso che il suo browser Chrome smetterà di supportare i cookie di terze parti.
Fortunatamente, tuttavia, non si tratterà di uno “tsunami”. Prima di tutto perché se ne parla già da più di un anno, e con ogni probabilità ci vorranno ancora diversi mesi per vedere iniziare davvero questa transizione. E poi perché Google, senza dubbio anche per una questione di interessi economici, sta facendo molto per garantire che gli attuali strumenti di marketing conservino la loro efficacia.
L’advertising del futuro sarà più etico
Per chi fosse interessato, tutto il progetto, soprattutto in termini di visione, è spiegato in modo molto chiaro sul sito ufficiale dell’iniziativa, chiamata Privacy Sandbox, che Google ha lanciato proprio per creare un punto di contatto fra tutte le aziende del settore. Al momento il progetto riguarda il solo Google Chrome, ma viste le quote di mercato che questo detiene e il numero sempre più elevato di browser basati su Chromium, non è difficile immaginare come tutti gli altri seguiranno a breve.
Per semplificare, possiamo dire che questo progetto ha due cardini fondamentali: ridurre i rischi per la privacy delle persone e i possibili tentativi di frode, ma garantire la profittabilità dei siti che proprio sull’advertising basano il loro modello di business.
Insomma, sulla carta si tratta di una visione più che positiva, dal momento che gli unici “tagliati fuori” dovrebbero essere i siti e le realtà che fanno uso di tecniche illecite o quantomeno borderline.
Tuttavia, il mondo dell’advertising è, legittimamente, in pensiero per l’evolvere del mondo della pubblicità online che, verosimilmente, richiederà agli addetti ai lavori quantomeno una modifica nelle proprie abitudini e nei flussi di lavoro.
Supporto continuo
Sapendo che, in ogni caso la roadmap attuale vede nel 2023 la prima linea di demarcazione, quindi non proprio dietro l’angolo, Google si sta spendendo molto, attraverso le sue risorse, per fare formazione, anche a livello molto pratico, su quello che sarà il futuro dell’advertising. Per esempio un post comparso di recente sulla versione inglese di Think With Google, offre tre spunti molto interessanti per le aziende che vogliono iniziare a prepararsi alla transizione. Li riportiamo brevemente, a vantaggio del pubblico italiano.
Prima di tutto, raccogliamo direttamente i dati di prima mano: indirizzi di posta elettronica, cronologie degli acquisti, contatti e così via, sono dati perfettamente in linea con il futuro dell’advertising, dal momento che saranno gli utenti stessi a fornirci il consenso per poterli trattare all’interno delle nostre piattaforme.
Poi misuriamo al meglio i dati in nostro possesso: misurazioni e analisi, spesso sottovalutate, costituiscono lo strumento migliore per misurare e correggere l’efficacia delle campagne.
Infine, utilizziamo l’automazione: spesso l’uso dei dati di terze parti non è altro che una “scorciatoia” alternativa alle analisi realizzate internamente. Oggi tuttavia ci sono strumenti estremamente evoluti e alla portata di tutti, per esempio basati sull’intelligenza artificiale, che permettono di realizzare analisi estremamente accurate in una frazione del tempo.
In qualche modo, le informazioni che provengono da Google sono rassicuranti: in fondo si tratta di buone pratiche che nella maggior parte dei casi sono già consigliabili per qualsiasi strategia di digital marketing, con qualche piccolo adattamento.